martedì 28 luglio 2015

La metro delle 8,57 (II)

Svegliarsi la mattina per andare in Università fa sempre più schifo. So di avere già espresso questo concetto, però provo davvero la morte nel cuore nel dovermi alzare dal letto dopo una giornata passata tra reparto, lezioni che non finiscono mai e studi di argomenti interminabili (e uscite con amici, e imprevisti vari che mi fanno dormire molto meno di quanto vorrei). Il problema di tutta questa faccenda è che gradualmente mi sveglio sempre più tardi per presentarmi alla lezione delle 9, ed è ormai consuetudine entrare a lezione già iniziata. Questo il più delle volte porta a non capire niente dell'argomento spiegato, evento di certo non così terribile visto che è una cosa condivisa col 95% degli studenti universitari in una classe: il reale problema è che adesso di questo trend non me ne frega più nulla, ma per non anticipare nulla prima del previsto, del motivo di questo cambio di atteggiamento ho deciso che parlerò in seguito. 

Quando suona la sveglia alle 8,10 e la rinvio una, due, tre volte, so che oltre le 8,40 non posso procrastinare l'alzata dal letto perchè poi finisce che manco arrivo in tempo per farmi convalidare la presenza a lezione: questo è un potenziale problema perchè dopo un certo numero di assenze viene preclusa la possibilità di potere sostenere l'esame, dovendo così seguire di nuovo il corso l'anno successivo. Io arrivo in genere entro 20 minuti dal termine ultimo per convalidare la presenza (il margine di sicurezza è in previsione del giorno in cui mi addormenterò sulla metro e sarò così costretto a uscire a una qualsiasi fermata successiva a quella dell'Università), ma ultimamente per via di questi ritardi mi sono ritrovato a fare corse frenetiche per non perdere l'ambita convalida.

L'ultima corsa contro il tempo di cui mi sono reso protagonista, e che rappresenta lo spartiacque della storia che vi sto per raccontare, è iniziata nel momento in cui ho spento la sveglia dopo averla rinviata per la terza volta e mi sono svegliato per caso alle 8,50. La sensazione di orrore è stata duplice, in quanto legata sia a tutte le ore di sonno aggiuntive che mi sarei concesso in assenza di quellacazzodilezionechechicazzolodecidechevannofatteallenoveenonaoraripiùcristianitipoledodici, sia alla velocità folle che dovevo mantenere nel prepararmi, raggiungere la metro, menarmi con gli altri passeggeri e fuggire verso l'Università con pezzi di pelle altrui sotto le unghie e qualche frattura costale. Correvo verso la  metro come un forsennato, e nel mentre mi stringevo la fidata bandana da guerra sottratta a un cuoco giapponese a seguito di una memorabile scazzottata. Se speravo di prendere in tempo la metro delle 8,53 non dovevo in alcun modo passare dai tornelli, rinunciando alla consegna dell'arma in dotazione per la conquista del posto che spetta di diritto a ogni abbonato dell'ATM. Decisi quindi di saltarli e impugnai il tirapugni custodito in tasca, dopo avere vissuto un momento di scoramento perchè le armi fornite in dotazione erano validissime scelte (lo scudo antisommossa, il piede di porco e il gatto a nove code decidono di distribuirli una volta al mese in un giorno random... Una bella sfiga la mia, insomma); ciononostante, non rallentai la corsa e puntai la banchina della metro.

Arrivato quindi alla banchina, divenni all'improvviso spettatore di una cruenta carneficina che si stava consumando di fronte alla vettura che avrebbe dovuto ospitare dei passeggeri e non degli invalidi di guerra. La mattanza non faceva esclusioni di genere, età e ceto sociale: vedevo mamme che caricavano con i passeggini file di inermi turisti, mentre muratori e liceali si menavano sfidandosi a suon di bestemmie e i disperati che volevano scendere dai vagoni venivano ricacciati indietro dalle cariche di chi voleva entrare. In genere queste scene non mi destano grande preoccupazione perchè sono sempre riuscito a farmi valere sul campo di battaglia; purtroppo la corsa forsennata mi aveva debilitato quel tanto che bastava per non riuscire a fronteggiare degnamente l'esodata che mi aveva assalito. 

60 anni portati malissimo, stazza imponente, vesti scolorite di almeno 10 anni: questo mastino manteneva la posizione di fronte all'ingresso del vagone, roteando il gatto a nove code prima di calarlo all'improvviso su chi tentava di entrare nel vagone e fare volare schizzi di sangue dappertutto. L'esodata lottava tenacemente per assicurare una via di ingresso a un suo caro: lo capivo dallo sguardo preoccupato che rivolgeva per brevi momenti  tra una sferzata e l'altra all'ascensore, che presumibilmente trasportava qualcuno a cui lei teneva particolarmente. Un passeggero dopo l'altro era caduto sotto i colpi inesorabili dell'esodata: ora era il mio turno, e l'avevo capito perchè gli occhi della predatrice si erano posati su di me. 

Non riesco a trovare un'immagine che renda giustizia all'esodata, ragion per cui ho deciso di metterci un Sandro Mayer che non ha mai fatto male a nessuno

Sentire donne in menopausa sovrappeso che urlano il loro grido di battaglia guardandoti negli occhi è un'emozione avvilente, e pur sapendo che sarei stato sconfitto avevo cercato di avvicinarmi più volte a quel fottuto ingresso prima di ritornare sui miei passi per schivare i colpi dell'esodata: conscio che i combattimenti erano terminati lungo tutta la banchina tranne che in corrispondenza del vagone difeso dall'esodata e che non avevo più un secondo da perdere se volevo arrivare in tempo per la convalida della presenza, maledii per l'ennesima volta la mancanza dello scudo antisommossa che mi avrebbe fatto molto comodo quella mattina e feci un placcaggio disperato sulla donna spingendo entrambi dentro il vagone... Mi trovavo sulla metro: ce l'avevo fatta!!!! 

[ora il font cambia per simboleggiare quanto fossi rimasto tramortito dopo avere usato le ultime forze che mi restavano, non perchè non so cosa sia successo all'impaginazione del post ed è diventato tutto con un interlinea maggiore]

C'è da dire che purtroppo la mia era stata una mossa efficace ma stupida, perchè l'esodata non aveva nulla da perdere e si trovava evidentemente in uno stato di furore bellico che non le faceva sentire nessun colpo andato a segno. Nonostante le dolorose fratture facilitate dall'osteoporosi che le avevo provocato, come un berserkr si liberò velocemente della mia presa e, prontamente rialzatasi, con la bocca schiumante, l'esodata mi prese da sotto le ascelle mentre ero ancora disteso, mettendomi con la pancia verso l'alto e spostandomi fino a portare la mia testa all'altezza dell'ingresso del vagone: dopo avermi posizionato in questo modo, si sedette su di me per assicurare la mia immobilità. Fu allora, da inerme mentre osservavo il folle sorriso che mi rivolgeva, che capii il suo piano. 

Gli scontri sulla banchina erano cessati nel momento in cui, placcando l'esodata, l'avevo spinta dentro il vagone, e i sopravvissuti ormai erano entrati tutti nei vari scompartimenti, compreso il marito dell'esodata che assiso sulla sua carrozzina imbottita di tritolo guardava me e la moglie e rideva sguaiatamente pensando alla mia imminente morte. Presto i conducenti del mezzo infernale intorno al quale mezza Milano si mena ogni giorno non avrebbero avuto più motivo di ritardare la loro partenza, e nel momento in cui si sarebbero chiuse le porte dei vagoni pezzi del mio cranio avrebbero garantito una colazione gratuita all'esodata e al consorte (a Milano pure la colazione costa tanto), nonchè la fine della mia vita... 

Nelle pupille midriatiche dell'esodata vedevo l'Abisso nel quale stava per farmi sprofondare.

Era chiaro che dovevo fare qualcosa per salvarmi, ma qual era la soluzione alla situazione disperata in cui mi trovavo? 
...
Cazzo, avrei dovuto scegliere l'opzione d) accennata nella prima parte di questo racconto!!!!

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